Partecipazioni qualificate e non qualificate
Partecipazioni qualificate e non qualificate: qual’è la differenza?
Ultimamente la differenza tra le varie tipologie di partecipazione è un argomento sulla bocca di tutti, specie tra i professionisti.
Tempo fa un collega ad un corso di aggiornamento mi chiese:
Prima di tutto dobbiamo individuare le norme che riguardano il caso specifico in essere:
- La prima norma da analizzare è quella dei forfettari ossia la finanziaria 2019, ove viene specificato a chiare lettere che “è ostativo per chi vuole rientrare nel regime forfettario avere una partecipazione sia in società di persone che di capitali, le quali svolgono un lavoro simile o uguale al codice ATECO dell’attività individuale che si vuole intraprendere”
- La seconda norma è quella riguardante la differenza tra partecipazione qualificata e non.
La definizione della partecipazione qualificata è contenuta nell’art. 67 T.U.I.R. (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, d.P.R. n. 917/86).
Infine l’articolo 2359 del codice civile ci da i c.d. “paletti” da rispettare.
In termini più tecnici:
- per una società quotata in mercati regolamentati italiani o esteri,
- il possesso superiore al 2% dei diritti di voto in Assemblea ordinaria,
- oppure il possesso superiore al 5% del Capitale Sociale;
- altrimenti, per una società non quotata in mercati regolamentati,
- il possesso superiore al 20% dei diritti di voto in Assemblea ordinaria,
- oppure il possesso superiore al 25% del capitale sociale o del patrimonio.
Partecipazione qualificata e regime forfettario
Chiaramente nell’ottica di questo caso pratico, la srls non è una società inserita nel mercato azionario, pertanto dobbiamo rifarci al secondo caso.
Se il socio di questa srls, il quale vuole aprire la partita iva nel regime forfettario, con un codice ATECO attinente a quello della srls, ha una quota uguale o maggiore al 25% o ne controlla il CDA con un ruolo chiave, non potrà rientrare nel regime forfettario.
Diverso è se questa quota è ad esempio del 10%, in questo caso non si presenta un problema di ostatività.
Partecipazione associazione professionale regime forfettario
Un caso ancora differente, ma che accomuna il mondo dei professionisti mi viene proposto da un cliente avvocato che mi chiede:
La partecipazione all’interno di studi associati è assimilato dal ratio riguardante le società di persone, di cui all’articolo 5 del TUIR sono escluse a priori all’adesione al regime forfettario. Questo è quanto voluto dalla norma.
L’unico modo per aderire al regime forfettario è dismettere la partecipazione.
Tra le altre cose, è importante sottolineare che l’Agenzia si era espressa a favore dell’applicazione del regime forfettario nel caso di cessione della partecipazione nel corso del periodo d’imposta di applicazione del regime forfettario (circolare 10/E 2016).
Questo vuole dire che l’avvocato che decidesse di dismettere la quota entro il 31/12/2019, può rientrare nel regime forfettario già da quest’anno. Sapendo ciò per “comportamento concludente” deve comportarsi come un forfettario già da ora.
Partecipazione CED (centro elaborazione dati) e regime forfettario
Altra importante riflessione è da fare su un altro tema che accomuna molti commercialisti e tributaristi, ossia la partecipazione in un centro elaborazione dati, pur nel contempo svolgere la professione individualmente.
Questa forma gestionale è adottata da molti professionisti, i quali dedicano la propria consulenza svolgendola in maniera individuale e “appaltano” il lavoro tecnico (tenuta delle scritture contabili, elaborazione dati, elaborazione paghe, stesura dichiarativi e bilanci ecc) al CED.
In questo particolare caso dobbiamo rifarci a quanto già visto in precedenza, ossia individuare innanzitutto la forma giuridica del CED:
- Se società di persone (SAS, SNC), il professionista non potrà aderire in nessun caso al regime forfettario;
- Se è una SRL o SRLS, va verificata se la quota di partecipazione è qualificata o meno e se il professionista.
Prendiamo ad esempio un CED composto da tre soci dove tutti hanno il 33% di quote: in questo caso nessuno dei soci potrà aderire al regime forfettario come professionsita.
Mentre prendiamo un giovane commercialista, che detiene il 10% di quote in un CED, insieme ad al 5 soci. In questo caso il giovane potrà aderire tranquillamente al regime forfettario.
Partecipazione qualificata in srl e lavoro dipendente: è possibile?
Mi viene prospettato un altro caso, dove un nuovo cliente che vuole aprire una srls, mi chiedeva:
Anche in questo caso dobbiamo far fede prima di tutto al concetto di “partecipazione qualificata“.
Su detto argomento, la giurisprudenza si è espressa più volte in casi dove i soci, o gli amministratori erano anche dipendenti della stessa società.
In linea generale le varie sentenze, cassano la possibilità di essere dipendenti di srl ove si detiene un ruolo chiave nelle decisioni, dettato da quote (partecipazione qualificata) o rappresentanza presso l’organo amministrativo.
In questo particolare caso proposto il soggetto:
- Primo: ha una quota di una certa rilevanza all’interno della costituenda srls;
- Secondo: deterrà la carica di amministratore unico.
Due ruoli che danno un ampio potere decisionale al socio amministratore.
In linea generale, nasce un evidente problema di compatibilità tra i ruoli:
- Il lavoro dipendente da un vincolo verso un determinato organo dirigente;
- L’organo dirigente detta le regole verso i gregari (dipendenti e collaboratori).
In sostanza il concetto dettato dalle giurisprudenze è questo.
Contrariamente a quanto citato poco fa, sembrerebbe che in alcuni casi sia ammessa la compatibilità tra lavoro dipendente e figura dominus.
E’ quanto contenuto in una Cassazione Civile che con la sentenza della sezione lavoro del 17/11/2004, n. 21759 Soc. Angelucci metalmeccanica OMA C. Inps (DeG – Dir. e giust. 2005, 1, 72 Lavoro nella giur. 2005, 378), la quale precisa:
“la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio dirigente alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci. Ne deriva che l’amministratore di una società di capitali può assumere la qualità di dipendente della stessa qualora non sia amministratore unico (anche se solo di fatto) ma membro di un consiglio, ancorché investito di mansioni di consigliere delegato, in modo che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore”.
La cassazione citata precisa in sostanza che il ruolo dirigenziale del dipendente può essere ammesso, se e solo se, è facente parte di un CDA (consiglio di amministrazione) e non come figura di dominus maxima dell’amministratore unico.
Insomma: i casi sono davvero tanti e ognuno diverso dall’altro, i quali vanno esaminati preventivamente ond’evitare di cadere in errore.
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